gennaio 04, 2013

La questione sionista ed il Vicino Oriente. – Documentazione tratta dal quotidiano torinese “La Stampa”: Cronache dell’anno 1926.

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Mentre valgono le considerazioni generali già fatte per le precedenti fonti documentarie, e cioè: Vedi Elenco Numerico, pare qui opportuno rilevare ogni volta la casualità e imparzialità con la quale le diverse fonti si aggiungono le une alle altre, animati da una pretesa di completezza, che sappiamo difficile da raggiungere. Il quotidiano “La Stampa”, fondato nel 1867, rende disponibile il suo archivio storico dal 1867 al 2006. Valgono i criteri generali enunciati in precedenza e adattati ogni volta alla specificità della nuova fonte. Assumendo come anno di partenza il 1921 seguiamo un metodo sincronico, raccordandolo con quello diacronico basato su alcuni anni di riferimento.

LA QUESTIONE SIONISTA
E IL VICINO ORIENTE
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tratta dall’archivio storico de “La Stampa


1926
1925   ↔ 1927
Anno inizio spoglio: 1921.
La Stampa: 1882 - 1883 - 1884 - 1885 - 1886 - 1887 - 1888- 1889 - 1890 - 1891- 1892 - 1893 - 1894 - 1895 - 1896 - 1897 - 1898 - 1899 - 1900 - 1901 - 1902 - 1903 - 1904 - 1905 - 1906 - 1907 - 1908 - 1909 - 1910 - 1911 - 1912 - 1913 - 1914 - 1915 - 1916 -1917 - 1918 - 1919 - 1920 - 1921 - 1922 - 1923 - 1924 - 1925 - 1926 - 1927 - 1928 - 1929 - 1930 - 1931 - 1932 - 1933 - 1934 - 1935 - 1936 - 1937 - 1938 - 1939 - 1940 - 1941 - 1942 - 1943 - 1944 - 1945 - 1946 - 1947 - 1948 - 1949 - 1950 - 1951 - 1952 - 1953 - 1954 - 1955 - 1956 - 1957 - 1958 - 1959 - 1960 - 1961 - 1962 - 1963 - 1964 - 1965 - 1966 - 1967 - 1968 - 1969 - 1970 - 1971 - 1972 - 1973 - 1974 - 1975 - 1976 - 1977 - 1978 - 1979 - 1980 - 1981 - 1982 - 1983 - 1984 - 1985 - 1986 - 1987 - 1988 - 1989 - 1990 - 1991 - 1992 - 1993 - 1994 - 1995 - 1996 - 1997 - 1998 - 1999 - 2000 - 2001 - 2002 - 2003 - 2004 - 2005 - 2006.

Sommario: 1. Il volto del sionismo trionfante. –

Indice Analitico: a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z. –  Eventi del 1926. – Altre fonti giornalistiche, periodiche o archivistiche del 1926.




Cap. 1

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Il volto del sionismo trionfante

La Stampa, 1ª ed.
Anno LX, n. 9
domenica, p. 3
10 gennaio 1926

Titoli: Dalla Persia alla Siria. Il volto trionfante del sionismo.

(Dal nostro inviato speciale)

Da Tel Aviv, dicembre.

Tel-Aviv, che in ebraico significa: «La collina degli Amici» è oggi il massimo centro della Palestina Sionistica. Sviluppatasi con rapidità prodigiosa in questi ultimissimi anni accanto alla vecchia Giaffa araba, costituisce per il visitatore una straordinaria sorpresa nella Terra che sino a poco fa e per due millenni fu cristianamente chiamala Santa, ma che oggi bisogna chiamare Ebraica poiché unicamente tale sta diventando.

Naturalmente, parlando di visitatori, intendo dire quelli che conobbero la Patria di Gesù prima dell’avvento e del trionfo del Sionismo. Dal punto di vista del progresso materiale, le differenze fra la Palestina di quattro anni fa soltanto e l’odierna si riassumono per me in alcune curiose impressioni, che voglio riprodurre e che ho ricevuto in una corsa di auto fra Gerusalemme, la pianura di Esdredon sotto il Tabor e Nazareth, il Carmelo, Haifa e Giaffa, cioè Tel Aviv, dove mi son fermalo per veder la nuova meraviglia e gustarla.

Israele e Roma

Notate che chi scrive ha nel suo attivo o passivo che sia, la prima nozione realistica che venne data in Italia del fenomeno sionista nei riguardi della tradizione cattolica in Terra Santa, che è essenzialmente tradizione italiana. Questo dico perché ritenevo di non saper guarire dal male di veder nel Sionismo un allarmante attentato a quella tradizione. La nuova visita in Palestina ha sanato la mia inquieta spiritualità facendomi, diventar filo-sionista come ogni cattolico dev’essere, come lo è probabilmente il Sacerdote Massimo Romano, come lo sono i sionisti cattolici, buddisti, protestanti e babeisti, venuti a ingrossar le file dei mistici coloni che riprendono possesso della terra dei loro Padri.

Infatti è appena necessario ricordare come il Sionismo, cioè la ricostituzione dell’unità del popolo ebraico in Palestina, si senta protetto dal dogma stesso della Chiesa che aspetta dalla conversione finale di Israele, quella del resto dell’umanità. E a chi si meraviglia della passività delle supreme Gerarchie cattoliche dinanzi alla invasione ebraica in Palestina, che si è resa materialmente padrona delle terre attorno ai suoi punti più cristianament sacri — (per rifare i principalissimi: Nazareth che sino a qualche anno fa era la roccaforte del cattolicismo qui è stretta d’assedio da grandi colonie dei Nuovi Ebrei, sulle rive del Lago di Galilea, del mistico Lago di Gesù, Cafarnauam, Mandala, Tiberiade, possessi dei Minori Conventuali, stanno per essere sommersi dalla esuberante fioritura dei centri ebraici che si addensano lungo le rive e le pendici dello specchio d’acqua dove Simon Pietro gettava le sue reti) — convien suggerire che in nessun luogo del mondo gli Ebrei vissero meglio come all’ombra del Vaticano.

A Roma, sino al pontificato di Pio IX, una suggestiva cerimonia stabiliva le intime relazioni degli Israeliti Romani con il Papato. Il Corteo Pontificio incontrava al Colosseo il Rabbino di Roma che presentava al Santo Padre la Bibbia in ebraico, l’esortava a rispettar la Legge Mosaica, e gli domandava poi la sua protezione. Il Papa rispondeva protestando il più profondo rispetto per la  «Leggi divina», ma respingeva  «false spiegazioni» che gli ebrei ne danno, dopo di che la cavalcata procedeva per San Giovanni in Laterano. Il significato di questa cerimonia sorpassava la comunità ebraica di Roma per rinnovare dinanzi al mondo le affermazioni opposte e solidali del Giudaismo e del Cristianesimo.

Gli Ebrei aspettano ancora l’arrivo del Messia. Per i Cristiani esso è venuto già, ma, secondo tutta la tradizione cattolica, ritornerà ancora, alla fine dei secoli, per giudicare i vivi e i morti. Allora le antiche profezie si realizzeranno, non più soltanto in «ispirito ed immagine», come nella prima venuta di Gesù, ma nella pienezza intera: «E faranno aratri delle loro clave e zappe delle picche: un popolo non leverà più la spada su di un altro e la guerra scomparirà dal mondo»...

2 milioni di Ebrei

Vengo alle impressioni. La più forte l’ho ricevuta a Gerusalemme dove il colonnello inglese Kirsch, anima del « Sionist Executive», cioè del Governo effettivo della Palestina, mi ha assicuralo che in qualche anno l’immigrazione sionista in Palestina potrà raggiungere i due milioni di nuovi Ebrei! La cifra è enorme poiché quattro anni fa sembrava assiomatico che con tutti i progressi, le migliorie e i dissodamenti della terra che si potrebbero effettuare, la Palestina non riuscirebbe ad ospitare più di un milione di abitanti. Calcolando che gli arabi sono 700 mila e i cristiani 60 mila, gli immigrati Sionisti non dovevano superare il quarto di milione.

Oggi viceversa si lavora con la certezza di costituire in un tempo relativamente breve uno Stato sionistico a grande maggioranza di abitanti ebraici, capaci cioè di difendersi da sé contro il pericolo di sopraffazione araba e in condizione pure di ringraziare un bel giorno l’attuale Potenza mandataria per i servigi resi e la protezione accordata e di pregarla di andarsene.

 È vano per ora pronosticare sugli atteggiamenti futuri dell’Inghilterra di fronte alla Stato Sionistico desideroso di assoluta indipendenza. Gli inglesi, intanto, pur avendo il Paese nelle mani affettano un completo disinteresse per l’attività sionista all’interno. Promettono però di costruire a loro spese il porto di Haifa, sotto il Carmelo (Haifa a cagione precisamente dei promontorio del Carmelo è il punto più protetto della burrascosa costa palestinese), che sarà la testa di linea della nuova ferrovia dal Mediterraneo all’India, la «Bagdad-Bahn» inglese; l’altra che i tedeschi dovettero lasciare a mezzo si può considerare morta.

Il colonnello Kirsch mi ha dato lo nozione sommaria del carattere dell’immigraziano sionista dicendomi, che essa continua a ad essere composta per la grande maggioranza di «intellettuali» e di avere un contenuto essenzialmente ideale poiché si tratta di gente che hanno abbandonato le loro professioni liberali nei Paesi d’origine per venir qui a fare i mestieri più faticosi: contadino, sterratore, spaccapitre. Tutti gli immigrati sono animati da un entusiasmo profondamente mistico benché la fisionomia dell’emigrazione sia piuttosto anti-religiosa. Fra gli immigrati si parla sempre di razza ebraica, e ben poco di fede biblica.

L’acquisto delle terre

Queste colonie sionistiche sorgono coprendo la pianura di Esdredon i terreni della Galilea e della Samaria, ma nei nuovi centri, compresi i maggiori, non si sente il bisogno di costruire sinagoghe. Lo scopo che con accanimento persegue il «Zionist Executive» è quello di accaparrarsi le terre «pagandole qualunque prezzo». Sotto questa imperiosa suggestione gli arabi si spoglian della terra, emigrano. Ciò dimostra che i Sionisti dispongono sempre di molto denaro fornito continuamente dalle grandi comunità ebraiche americane.

Le terre vengono o vendute a lunghissima scadenza o date in affitto agli immigrati che debbono coltivarle e abitarle. L’esodo degli ebrei in Palestina è regolato con molta cura, le richieste di immigrazione sono sempre innumerevoli, intere comunità, come quella potente e ricca di Salonicco, vorrebbero trasportarsi in massa sotto questo cielo perennemente azzurro, lungo queste rive incantevoli, in questo clima dolcissimo, perché in tutti i Sionisti si alimenta la convinzione che l’attuale aridità della Palestina è modificabile solo che si riesca, come si cerca di fare, a scavar pozzi artesiani, a rimboschire e a regolare il corso dei torrenti dell’altipiano. (Disgraziatamente il Lago di Galilea e il Giordano sono a qualche centinaio di metri sotto il livello marino, per l’irrigazione non servono, li utilizzerà l’industria).

La maggioranza degli immigrati viene tuttora dalla Polonia e dalla Romania, gli ebrei russi debbono superare forti ostacoli per lasciare la Moscovia dei Soviet. Fra gli aspiranti a ripopolar l’antica Terra Promessa primeggiano gli ebrei di Persia, seguono quelli di Tunisia, Germania e America. Ho domandato se fra gli immigrati sionisti c’è qualche ebreo italiano e il colonnello Kirsch mi ha dichiaralo che non ve n’è alcuno... Per contro la nuova grande Università ebraica di Gerusalemme ha istituito i corsi per l’insegnamento della Lingua Italiana. Con l’Italia i Sionisti intendono di mantenere intime relazioni e per ora, e speriamo per sempre, il nostro Paese occupa il primo posto nel commercio marittimo. Il Lloyd Triestino ha da poco istituito una nuova linea diretta di navigazione Trieste-Haifa-Giaffa settimanale, che gli immigrali preferiscono alla francese e alla rumena.

 La «Carmen» in ebraico

 L’immigrazione femminile ebraica tende a superare quella maschile, ma le donne sioniste si adattano, come avviene in Russia a compiere tutti i lavori particolari agli uomini. E, come avviene in Russia, le relazioni fra i due sessi sono improntate alla più grande libertà, anzi al libero amore addirittura.

Sbaglierebbe grossolanamente però chi ritenesse le donne sioniste disposte ad accordare i loro favori a chi non è ebreo e sionista. In amore, come in tutto il resto i comportamenti degli immigrati si ispirano alla coscienza dell’assoluta superiorità della razza ebraica sulle altre che popolano la Palestina.

Cristiani ed arabi affermano che cotesta coscienza tradisce un profondo spirito di intolleranza, ma è vano recriminare, la Palestina è Ebraica. La lingua corrente è l’Ebraico, il pensiero è ebraico, i giornali tutti sono stampati in Ebraico e a Tel-Aviv l’Opera al Teatro si dà in Ebraico. Questa sera c’è la «Carmen». L’eroina di Bizet e Don José cantano nella lingua che fu quella di Gesù e degli Apostoli nonché di Salomè, lingua dolcissima e che al canto si adatta meravigliosamente. Infine il colonnello Kirsch, informandomi che a Gerusalemme vi sono ancora, ad eccezione di Sir Erbert Samuel, l’antico Alto Commissario per la Palestina, tutti i funzionari britannici che vi si trovavano quattro anni fa, quando il Sionismo nasceva (prova evidente del persistere inglese degli stessi concetti nel Governo del Paese) compreso il Governatore Storrs, antico braccio destro di Lord Kitchener, mi ha detto che su 140 mila immigrati ebrei pochissimi furono quelli che scoraggiati dalle fatiche e dalle privazioni (ed esse non sono né poche, nè trascurabili) sotto tornati nei Paesi d’origine.

 Il prestigio italiano

Volevo a Gerusalemme salutare il Governatore Storrs, che parla l’italiano come un fiorentino e che quattro anni or sono avevo ammirato per l’abilità nel saper tenere a bada sionisti, arabi, cattolici e cristiani scismatici, convincendoli a turno di essere del loro parere, ma ho consacralo il poco tempo disponibile ad una visita al nostro Console generale comm. Gualtieri, che ha del mondo che gravita fra Turchia ed Egitto una conoscenza insuperabile.

Ho trovato il comm. Gualtieri raggiante per i progressi dell’influenza italiana in Palestina. Il prestigio italiano è tale che tutti gli arabi qui vorrebbero naturalizzarsi italiani, le nostre scuole rigurgitano, il Governo ha dovuto istituire un vice-Consolato retto da un funzionario di carriera anche a Haifa. Consolante situazione che si estende anche in Egitto, dove, come a Porto Said, grazie alla genialità del Console Fiandaca, si è verificato l’incredibile fenomeno di veder la tisica Scuola Italiana di due anni fa portar via di colpo alla Scuola francese la maggioranza dei suoi alunni! E questo perché il Ministero degli Esteri ha consentito a completare l’antica scuoletta elementare con una Scuola tecnica mista, affidandone l’insegnamento alla Società Nazionale per le Missioni (leggi Salesiani del senatore Schiapparelli) che con la cifra che il Governo spendeva per la Scuola elementare ha eretto a Porto Said un maestoso palazzo, frequentata oggi da ben 600 ragazzi e bambine di tutte le nazionalità...

Organizzazione americana

Ma torniamo al Sionismo, che da Gerusalemme (dove gli Ebrei, anelli vecchi si intende, cominciano a disertare discretamente i monoliti salomonici del Tempio, sotto l’impareggiabile Moschea di Omar — il più bel Tempio del mondo, per me — trovando che è oramai superfluo piangere ogni sabato sul destino del Popolo Eletto), verso Haifa e Giaffa diventa «americano». La strada, l’antica sconnessa strada è un bigliardo. Non vi sono che l’America e il Sionismo che abbiano di queste strade, sulle quali si corre comodamente a 90 all’ora, riuscendo a scorgere tutte le indicazioni necessarie, vergate nelle tre lingue questa volta: ebraico, arabo ed inglese. Ogni paese, ogni villaggio, ogni gruppo di case arabe ha vicino una colonia ebraica. Così si riesce più facilmente a persuadere l’arabo a vender la sua terra, e ad andarsene. Noto che ogni colonia ha il suo campo di giuochi invariabilmente donato da generosi americani (lo dicono apposite tabelle all’ingresso del rampo). I coloni hanno in generale l’aria di studenti in vacanza. Son tipi che. si vedono a Varsavia, a Cracovia, a Witna, a Riga, a Bucarest, con zazzere intonse, maglie, calzettoni. E tutti sono accompagnati da una donna, quasi sempre giovane, raramente bella, ma per lo più vestita con abito maschile.

Ogni tanto, sulla strada, c’è un posto di polizia, con dei gendarmi sionisti, in divisa nera, gentilissimi. La Palestina mistica cristiana, si è trasfigurata in qualche cosa, che si stenta ad afferrare, il decrepito Paese sembra un pezzo di Terra vergine dove gli uomini stiano arrivando a frotte; una porzione di Transvaal o di Australia offerta ad una giovine immigrazione spregiudicata di cercatori d’oro. Terra Vergine sterile, sassosa, dove i nomi venerabili di Emmaus, di Naplusa, di Naim hanno perduto ogni significato.

 La città ebraica

Si è fatto notte e i fari della macchina, illuminando la strada e gli approcci delle località abitate, scoprono innumerevoli coppie di amanti ebraici stretti uno all’altra che si baciano sotto le stelle... Una volta, percorrendo la Palestina notturna, si attraversavano i villaggi deserti, muti chiusi nella loro ostilità islamica o nella riserva conventuale cristiana. La Terra di Jeova, di Gesù e del sultano Omar era sinceramente ingrata sotto la cappa plumbea della sua triplice tradizione religiosa. E buie eran soprattutto le notti nei suoi centri abitati, nella sua campagna sconsolata.

Ora, tutto sfolgora di luci lungo le strade. Questi coloni ebraici si sono preoccupati di scaglionarsi dovunque, di stabilire fabbriche fiammeggianti ad ogni piè sospinto, di invadere la immensa piana di Esdredon con i rettifili di una città nuova: Jaquir.

Eccoci, all’ultimo contrafforte prima di raggiungere il mare. È il Carmelo. Ecco in basso la costa costellata di innumerevoli luci: Haifa illuminata sfarzosamente piena di gente nuova, assetata di vita e di godimento. Gli immigrati ebraici, lo sapete, sono per la maggior parte giovani. Leggete il romanzo sionista di Miriam Harry «Les amants de Sion» che di quei giovani ha fatto l’esaltazione più veridica e sentimentale. Il microcosmo di Tel-Aviv, città nuova di zecca di cinquantamila abitanti, costruita e in via di svilupparsi continuamente lungo i piani tracciati dall’ingegnere sionista Erik Geddes, non ha una topografia americana. È un conglomerato di edifici sul mare, di stile indefinibile poiché vi sono rappresentati tutti gli stili architettonici delle Patrie d’origine degli immigrati.

Ma dal suo assieme accecante di candore, senza attenuazione di verzura che le conferisca seduzione, si sprigiona l’unità originale della nuova città ebraica sorta in antitesi con la fisionomia del Paese, come sino a ieri esso è apparso alle generazioni che l’hanno irrorato di sangue e coperto di altari.

ARNALDO CIPOLLA

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