gennaio 04, 2013

La questione sionista ed il Vicino Oriente. – Documentazione tratta dal quotidiano torinese “La Stampa”: Cronache dell’anno 1932.

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Mentre valgono le considerazioni generali già fatte per le precedenti fonti documentarie, e cioè: Vedi Elenco Numerico, pare qui opportuno rilevare ogni volta la casualità e imparzialità con la quale le diverse fonti si aggiungono le une alle altre, animati da una pretesa di completezza, che sappiamo difficile da raggiungere. Il quotidiano “La Stampa”, fondato nel 1867, rende disponibile il suo archivio storico dal 1867 al 2006. Valgono i criteri generali enunciati in precedenza e adattati ogni volta alla specificità della nuova fonte. Assumendo come anno di partenza il 1921 seguiamo un metodo sincronico, raccordandolo con quello diacronico basato su alcuni anni di riferimento.

LA QUESTIONE SIONISTA
E IL VICINO ORIENTE
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tratta dall’archivio storico de “La Stampa


1932
1931   ↔ 1933
Anno inizio spoglio: 1921.
La Stampa: 1882 - 1883 - 1884 - 1885 - 1886 - 1887 - 1888- 1889 - 1890 - 1891- 1892 - 1893 - 1894 - 1895 - 1896 - 1897 - 1898 - 1899 - 1900 - 1901 - 1902 - 1903 - 1904 - 1905 - 1906 - 1907 - 1908 - 1909 - 1910 - 1911 - 1912 - 1913 - 1914 - 1915 - 1916 -1917 - 1918 - 1919 - 1920 - 1921 - 1922 - 1923 - 1924 - 1925 - 1926 - 1927 - 1928 - 1929 - 1930 - 1931 - 1932 - 1933 - 1934 - 1935 - 1936 - 1937 - 1938 - 1939 - 1940 - 1941 - 1942 - 1943 - 1944 - 1945 - 1946 - 1947 - 1948 - 1949 - 1950 - 1951 - 1952 - 1953 - 1954 - 1955 - 1956 - 1957 - 1958 - 1959 - 1960 - 1961 - 1962 - 1963 - 1964 - 1965 - 1966 - 1967 - 1968 - 1969 - 1970 - 1971 - 1972 - 1973 - 1974 - 1975 - 1976 - 1977 - 1978 - 1979 - 1980 - 1981 - 1982 - 1983 - 1984 - 1985 - 1986 - 1987 - 1988 - 1989 - 1990 - 1991 - 1992 - 1993 - 1994 - 1995 - 1996 - 1997 - 1998 - 1999 - 2000 - 2001 - 2002 - 2003 - 2004 - 2005 - 2006.


Indice Analitico: a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z. –  Eventi del 1932. – Altre fonti giornalistiche, periodiche o archivistiche del 1932.





Cap. 1

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Gli ebrei della Palestina contro il Governo inglese?

La Stampa della Sera,
giovedì. venerdì, p. 1
31 marzo-1 aprile 1932 

Gerusalemme, 31 sera. – L’Alto Commissario inglese ha informato l’Esecutivo per la Palestina dell’Agenzia israelita che egli intende creare il Consiglio legislativo previsto nel Libro Bianco di lord Passifield del 1930, poiché la sezione maomettana della popolazione ha chiesto che esso sia messo in vigore. L’Agenzia israelita ha immediatamente informato l’Alto Commissario che la creazione del Consiglio legislativo nelle circostanze presenti, non può essere accettato dalla popolazione ebrea. Il progetto di lord Passifield, tuttavia aveva previsto che si dava facoltà all’Alto Commissario, nel caso che una parte della popolazione non volesse cooperare alla formazione del Consiglio, di nominare personalmente i membri, ciò che si crede verrà effettuato.



Cap. 2

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Nuovo mondo in Palestina

La Stampa,
21 aprile 1932, p. 5

Titoli: Panorami economici. Nuovo mondo in Palestina.

GIAFFA, aprile. –  Da quando, nel 1917, Lord Balfour espresse la propria simpatia per le aspirazioni ebraico-sioniste, e promise il suo aiuto per favorire l’idea lanciata in quei difficili momenti, che il popolo ebraico avesse la propria sede nazionale in Palestina, molto si è fatto, anche se di questo mondo nuovo noi abbiamo avuto rare notizie.

In verità il problema ebraico non esiste per l’Italia, e perciò la cosa per noi ha un relativo interesse, all’infuori del suo particolare carattere nazionale e politico, e dei riflessi che un simile movimento può avere in un punto delicato del Mediterraneo, posto a cavallo fra l’Europa e l’Asia, là dove il passaggio attraverso l’Egitto si presenta, per le necessità dell’Inghilterra, ogni giorno più problematico.

Ricorderemo che la faccenda del riconoscimento prima, e della realizzazione poi, della sede nazionale degli ebrei, non si fermò all’interessamento di Balfour, ma nel febbraio 1919 i rappresentanti sionistici comparvero alla Conferenza della pace a Parigi, dove ebbero luogo delle sedute presiedute da Pichon e dallo stesso Balfour, alle quali parteciparono Clemenceau, Sonnino, Miller, Lansing e White.

L’anno dopo Sokolow pubblicò due volumi: Storia del sionismo 1900-1918, per fissare i progressi della aspirazione del popolo ebraico, e il 20 aprile 1920 le dichiarazioni di Balfour ottennero la sanzione delle Potenze, tanto è vero che la fissazione del mandato inglese in Palestina avrebbe come finalità di erigere per gli ebrei la sede nazionale nella antica Giudea. Fu per questo che la Palestina ebbe, dopo 20 secoli un «procuratore» che non era Ponzio Pilato, ma Sir Herbert Samuel, alto commissario inglese, ed ebreo, per tener a battesimo il nuovo regno di Israele.

D’altra parte, oltre le parole, Rothschild diede qualche centinaio di milioni ed altri grandi finanzieri, compreso Hirsch, fecero il restò. La migrazione ebraica in Palestina, iniziata timidamente nel 1905, raggiunse una sensibile corrente nel 1918. D’allora continuò a crescere in modo tale da provocare la reazione degli arabi, di cui si parla proprio in questi giorni, mentre l’Inghilterra rinforza le sue truppe d’occupazione.

 Ad ogni modo la nuova Sion rivive. In meno di dieci anni di fronte a 600.000 musulmani, e 70.000 cristiani, si sono qui trasferiti circa 80.000 ebrei. La realtà ha distrutto molti dubbi, e intorno ai nuovi nuclei, che vanno impossessandosi della vita economica del paese, la battaglia non può servire che a rafforzarli. Questa almeno è la nostra convinzione. Coloro i quali credevano che l’ebreo non si sarebbe attaccato alla terra, dimenticavano che l’ebrèo non vive solo nel ghetto e del commercio. Dimenticavano intere zone agricole della Galizia, dell’Ucraina, dell’Ungheria, della Polonia, che hanno dato il massimo contingente alla migrazione. L’elemento artigiano, commerciale, professionale si è creato la sua città: Tel-Aviv, che oggi è un sobborgo di Giaffa con 25.000 abitanti, ma domani sarà indubbiamente Giaffa sobborgo di Tel-Aviv.

In aprile si aprirà qui la grande Fiera del Levante, dopo aver accolto nel mese di marzo 15.000 ginnasti per le Olimpiadi ebraiche. Il nome di Fiera del Levante è stato preso naturalmente a Bari, ed ecco la ragione di un comunicato del nostro Governo per il quale in Italia non si può adoperare la dicitura Fiera del Levante se non per quella di Bari, togliendo così ogni ragione di equivoco, ed evitando che si possa fare in Italia della pubblicità ad una Fiera, la quale si affaccia con dei propositi di concorrenza, rivolgendosi allo stesso ambiente e con gli stessi scopi.

Non è il caso di descrivere la nuova città. Basta pensare che è nata dopo la guerra e che rappresenta tutta una vita nuova. Vi trionfa il razionalismo in architettura, per quanto piegato a qualche influenza orientale, vi ricorda una città tedesca nella tecnica degli impianti; la spiaggia è estesa come quella di Ostenda, il movimento è intenso ovunque in ogni ora del giorno. Banche, istituti di educazione, teatri e cinematografi completano l’ambiente, che non ha uguali da Alessandretta a Suez. Dappertutto le scritte sono in ebraico, la lingua che si parla è la lingua del Vangelo.

Qui fu il centro di tutta l’attività della Palestina Land developpement Company, sorta nel 1908, ma che ha cominciato dopo la guerra a funzionare sul serio. Ora gli uffici sono a Gerusalemme. Certo si è che la nuova Società fece dimenticare la Colonisation Association di Rothschild sorta nel 1900, ed alla quale si devono due o tre colonie agricole sorte con contadini della Galizia, spiritualmente inerti. Ma questo non si può dire del nuovo mondo. Qui l’emigrante non cambia la patria e non la perde, ma la ritrova. Tutto il movimento è pieno di fervore, di passione, e per questo si assiste ad un miracolo che non è dato di vedere in nessuna altra parte del mondo. La giovane generazione ebraica sembra che abbia mandato qui gli spiriti più pronti e più forti, i quali sono messi in moto da una idea: ricostruire il regno di Sion.

Nell’interno le colonie non sono meno ambientate del centro cittadino. Da Rehobot a Ness-ziona, da Bet-alfa a Huldah, dove le colonie ebraiche hanno scavato prima una trincea per difendersi dagli arabi, e poi hanno eretto i nuovi villaggi, lo spirito è vivo, alacre, quasi mistico. Taluna di queste colonie ha carattere comunista, ma forse è la miglior maniera di resistere e di vincere, dove tutto è da fare dal niente. Ci assicurava un funzionario che la «comunità» è la forza naturale di colonizzazione. Qui si ritrovano il farm americano e la casa ebraica che si vede in Russia; c’è in qualche sito un particolare che vi ricorda Vilna o Varsavia, Odessa o Kovno, ma vi sono anche villaggi modernissimi creati da un geniale architetto — Riccardo Kaufmann, nato a Francoforte sul Meno — il quale ha la direzione edilizia dell’Ufficio sionistico di Gerusalemme, dove si trovano anche le altre direzioni: emigrazione, commercio e industria, agricoltura, finanza.

Così queste colonie appaiono un poco lituane, un poco californiane, o addirittura razionaliste, ma certamente modelli d’ordine e di disciplina, centri magnifici di produzione. Basterebbe al viaggiatore frettoloso, per farsi un’idea, fermarsi nel viaggio da Giaffa a Gerusalemme alle fonti di Ain Dilb, magnifica tenuta in mezzo alle colline rocciose della Giudea, dove si produce tutta la verdura che si consuma a Gerusalemme. Ma anche i nuovi sobborghi della città santa sono stati studiati dall’Ufficio sionistico, con viali, pareti, ville, alberghi, ed alla trasformazione della preesistente zona abbandonata, lavorarono studenti e professori polacchi, felici di creare con le loro mani, la fortuna della antica terra madre.

Dal lato industriale si è fatto meno, ma non si poteva fare di più. Un tedesco, Rutenberg, che pero è stato sotto Kerensky, governatore di Pietrogrado, ha studiato, ed attuato un impianto idro-elettrico per 16 milioni di chilovattora e 40 metri di salto tra il lago di Tiberiade e la Valle di Iezzerl. L’impianto è già in pieno sfruttamento per l’irrigazione, non completamente per la forza motrice, in quanto lo sfruttamento deve avvenire con lo sviluppo delle lavorazioni industriali. L’acqua del Giordano è stata così profanata per un battesimo di vita moderna che deve redimere la Palestina dal peccato dell’inerzia, come del resto le acque del Mar Morto sono già sfruttate per la produzione di sali potassici. Queste imprese non sono connesse né coi fondi nazionali, cioè dell’Esecutivo giudaico (una specie di Amministrazione più che Governo, ma che potrebbe essere il nucleo del Governo futuro), né dipendono dalle altre iniziative di carattere statale. Finanzieri inglesi hanno raccolto l’iniziativa e l’hanno portata a compimento.

Il Governo inglese invece, ha provveduto alle ferrovie ed alle strade. Al piccolo tronco da Giaffa a Gerusalemme, si è aggiunta tutta la rete che va da Suez a Beruti in Siria, con la diramazione per Bagdad. Le strade sono magnifiche e completamente asfaltate. Il soffio della civiltà ha trasformato ciò che i venti del deserto avevano devastato. C’è il senso di una vita nuova con le caratteristiche di tenacia, di volontà di fede che gli ebrei sanno avere, anche quando non parlano. Invece della nuova Palestina essi parlano in tutto il mondo, perché il loro sogno secolare ha avuto principio.

Nel creare la nuova vita della Palestina gli ebrei sono stati spinti dai ricordi di carattere nazionale e religioso che dovevano in un primo tempo creare spontaneamente la ragione organica della formazione delle loro attività. Certo, però, che mentre questa vita si allarga, e lo sviluppo non è più esclusivamente agricolo, ma anche commerciale e industriale, nell’interno della Palestina, la costa resta completamente aperta per delle ragioni che si riferiscono non tanto alle necessità ambientali, quanto a quelle diverse dei Paesi mandatari.

Da Suez fino ad Alessandretta la costa della Palestina e della Siria non aveva porti: si trattava di rade completamente aperte. La Francia, ancora prima della guerra, ha ottenuto la concessione e la costruzione del porto di Beruti e relativa ferrovia fino a Damasco. Questo porto è oggi completo e funziona ottimamente, soprattutto per i lavori fatti in questi ultimi anni, dopo l’abbandono di ogni progetto per il porto di Tripoli.

L’Inghilterra, tra Caifa e Giaffa, ha preferito, per ragioni politiche e militari, Caifa, il cui porto si va completando abbastanza rapidamente. Giaffa, che costituiva il vero porto della Palestina con alle spalle a 50 chilometri Gerusalemme, che non è più una città semplicemente di vita religiosa, ha perduto ogni possibilità di avere il suo porto, dato che le ragioni militari e politiche dell’Inghilterra sono prevalse sulle stesse ragioni economico-sociali del Paese soggetto al mandato.

Aggiungeremo che mentre in Siria esiste un Governo locale, il quale può far sentire le sue ragioni, anche se non vengono poi accettate, in Palestina non si sa bene chi possa esprimere le ragioni o i desiderii del Paese in quanto arabi ed ebrei lottano ogni giorno più sordamente tra di loro per escludere ogni ragione e occasione di influenza della parte avversa. Se l’afflusso ebraico ha avuto un arresto, le ragioni bisogna trovarle nella situazione creatasi in Paese, della quale un sintomo abbastanza grave sono stati i moti di due anni or sono.

Gli arabi hanno visto dapprima con sorpresa, e poi con dispetto, come il brullo e deserto terreno da loro ceduto, sia diventato meravigliosamente fruttuoso nelle mani degli ebrei, e dato che in questo Paese la proprietà non è quasi mai convalidata da titoli effettivi, mentre lo stato della giustizia è caotico, è facile immaginare come la reazione abbia dato luogo a conflitti sempre più gravi ed a vere battaglie con morti e feriti.

Ecco perché l’Autorità inglese è intervenuta a rallentare l’afflusso dei nuovi coloni, pur lasciando agli ebrei la soddisfazione di poter consigliare, attraverso il loro Esecutivo, ciò che ritengono più utile per i loro interessi. Il Governo inglese ci tiene a far sapere che vuole giustizia per tutti, compresi gli arabi, o può darsi che il Commissario tenga nella sua bella casa quella catinella che servì a suo tempo al procuratore della Giudea, a Ponzio Pilato, per risolvere un grosso problema di ordine religioso e sociale.

Ad ogni modo la sua guardia è costituita da sikhs indiani e da tiratori australiani, e il Paese è corso da camions armati. Alla giustizia non deve mancare la forza. È un vecchio metodo inglese di governare, che gli inglesi hanno creduto opportuno di adottare anche nei Paesi soggetti a mandato. I francesi — del resto —fanno altrettanto in Siria.

 ALFREDO GIARRATANA




Cap. 3

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Funerali sul Monte degli Ulivi

La Stampa,
21 aprile 1932, p. 5

Gerusalemme, 20 notte. - (M.) Tra le numerose credenze che accompagnano ovunque gli ebrei nel loro eterno errare fra i paesi della Diaspora, una si riallaccia in maniera diretta colla sepoltura dei morti sui fianchi dell’Oliveto. I seguaci della Torah ritengono, infatti, che coloro i quali hanno il privilegio di dormire il sonno dei giusti sulla Montagna Santa di Gerusalemme, saranno i primi a balzare dalle loro tombe, vestiti di luce, appena le trombe del Giudizio finale squilleranno nella gola sottostante della Valle di Giosafat.

Sorretti dalla fede in questa leggenda, i ricchi Israeliti che muoiono in esilio, lontano dai Colli di Sion, hanno cura di far trasportare i loro resti mortali a Gerusalemme per attendervi, ai primi posti, l’appello di Javeh nel gran giorno della Risurrezione. Così si vedono, di tanto in tanto, funerali di ebrei d’Europa e d’America salire l’erta del Monte degli Ulivi in cerca di una zolla benedetta per dormirvi in pace il sonno della morte. Di questi cortei se ne ebbero diversi di questi giorni, in occasione del grande affluire di turisti israeliti d’Occidente alla Fiera di Tel Aviv.

Coloro che non possono permettersi il lusso di farsi seppellire sull’Oliveto, vi suppliscono, in parte, procurandosi un pugno di terra della Montagna Santa, di cui si serviranno poi nella loro tomba, come di origliere, e che dovendo alla fine del mondo ritornare al suo posto primitivo a Gerusalemme, farà loro da guida per condurli più in fretta, da qualsiasi latitudine del globo, al concentramento generale del popolo eletto nella Valle di Giosafat per ricevervi il premio di tutte le opere buone compiute in vita.


Cap. 4

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Il rapporto sulla Palestina

La Stampa,
16 novembre 1932, p. 7

Titoli: La Commissione dei Mandati. Il rapporto sulla Palestina.

Ginevra, 15 notte.

La Commissione dei Mandati, che è in sessione da diversi giorni, ha esaminato nel corso della sua ultima seduti seduta il rapporto annuale dell’Inghilterra in merito alla Palestina. L’Alto Commissario britannico in Palestina ha fornito al riguardo interessanti informazioni circa i rapporti che intercorrono in quel territorio fra gli arabi e gli ebrei, partiucolarmente in vista della collaborazione dell’amministrazione del paese fra questi due elementi della popolazione, e circa la situazione ad Altaba, alla frontiera dell’Hegiaz con Transgiordania, dove — come si ricorderà ha avuto luogo recentemente un tentativo di rivolta contro il Re Ibn Saud.

La Commissione dei Mandati ha inoltre ripreso in esame la questione del progetto di unione fra i territori del Kenia e dell’Uganda, colonie inglesi con il mandato del Tanganika. Nulla è trapelato che possa consentire di dire in via definitiva quale sarà l’atteggiamento che la Commissione assumerà di fronte ai progetti sottoposti al sue esame.

Sembra tuttavia che le discussioni finora svoltesi abbiano posto in rilievo la necessità di procedere in tale delicata e complessa questione con estrema prudenza. L’idea che anima la Commissione dei Mandati in questo problema sembra essere quella che la Potenza mandataria non debba approfittare in nessun modo della sua situazione per assorbire il territorio mandatario nel complesso delle sue colonie, dato che ciò contrasterebbe con le disposizioni fondamentali del Mandato.

 G. T.

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