gennaio 04, 2013

La questione sionista ed il Vicino Oriente. – Documentazione tratta dal quotidiano torinese “La Stampa”: Cronache dell’anno 1934.

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Mentre valgono le considerazioni generali già fatte per le precedenti fonti documentarie, e cioè: Vedi Elenco Numerico, pare qui opportuno rilevare ogni volta la casualità e imparzialità con la quale le diverse fonti si aggiungono le une alle altre, animati da una pretesa di completezza, che sappiamo difficile da raggiungere. Il quotidiano “La Stampa”, fondato nel 1867, rende disponibile il suo archivio storico dal 1867 al 2006. Valgono i criteri generali enunciati in precedenza e adattati ogni volta alla specificità della nuova fonte. Assumendo come anno di partenza il 1921 seguiamo un metodo sincronico, raccordandolo con quello diacronico basato su alcuni anni di riferimento.

LA QUESTIONE SIONISTA
E IL VICINO ORIENTE
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tratta dall’archivio storico de “La Stampa


1934
1933   ↔ 1935
Anno inizio spoglio: 1921.
La Stampa: 1882 - 1883 - 1884 - 1885 - 1886 - 1887 - 1888- 1889 - 1890 - 1891- 1892 - 1893 - 1894 - 1895 - 1896 - 1897 - 1898 - 1899 - 1900 - 1901 - 1902 - 1903 - 1904 - 1905 - 1906 - 1907 - 1908 - 1909 - 1910 - 1911 - 1912 - 1913 - 1914 - 1915 - 1916 -1917 - 1918 - 1919 - 1920 - 1921 - 1922 - 1923 - 1924 - 1925 - 1926 - 1927 - 1928 - 1929 - 1930 - 1931 - 1932 - 1933 - 1934 - 1935 - 1936 - 1937 - 1938 - 1939 - 1940 - 1941 - 1942 - 1943 - 1944 - 1945 - 1946 - 1947 - 1948 - 1949 - 1950 - 1951 - 1952 - 1953 - 1954 - 1955 - 1956 - 1957 - 1958 - 1959 - 1960 - 1961 - 1962 - 1963 - 1964 - 1965 - 1966 - 1967 - 1968 - 1969 - 1970 - 1971 - 1972 - 1973 - 1974 - 1975 - 1976 - 1977 - 1978 - 1979 - 1980 - 1981 - 1982 - 1983 - 1984 - 1985 - 1986 - 1987 - 1988 - 1989 - 1990 - 1991 - 1992 - 1993 - 1994 - 1995 - 1996 - 1997 - 1998 - 1999 - 2000 - 2001 - 2002 - 2003 - 2004 - 2005 - 2006.

Sommario: 1. Arabi ed ebrei per il possesso della Palestina. –

Indice Analitico: a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z. –  Eventi del 1934. – Altre fonti giornalistiche, periodiche o archivistiche del 1934.




Cap. 1

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Arabi ed ebrei per il possesso della Palestina

La Stampa,
giovedi, p. 5
1 febbraio 1935



(NOSTRO SERVIZIO PARTICOLARE) Gerusalemme, 31 notte. La Terrasanta ha corso il rischio di avventurarsi un’altra volta, in questi ultimi giorni, sul terreno di nuove convulsioni politiche. E tutti si aspettavano ormai di dover assistere, benché a cosi breve distanza, a una seconda edizione delle giornate di sangue che hanno funestato la cronaca palestinese verso la fine di ottobre e agli inizi di novembre del 1933. Invece, grazie alla remissività del Governo, che, rinunciando alla sua fiera intransigenza di quattro mesi fa, autorizzò l’organizzazione di pubblici cortei, purché questi fossero mantenuti entro i limiti di tempo e di luogo prestabiliti dalla Polizia, il pericolo di disordini dileguò completamente all’ultima ora. In tal modo, rimosso il carattere della loro primitiva illegalità, le grandiose dimostrazioni tenute dagli arabi durante le feste del Bairàm in segno di protesta contro l’immigrazione degli ebrei e contro la politica attuale degli Inglesi in Palestina, poterono svolgersi senza che ci fossero da registrare spiacevoli incidenti. Tutte le previsioni pessimistiche sono, quindi, state smentite dai fatti. Meglio così. Crepi pure l’astrologo e mentiscano sempre i suoi oroscopi quando sono in giuoco vite umane!

Accese degli arabi e degli ebrei

Mentre vanisce l’incubo che aveva tenuto in orgasmo tutta la Palestina Terrasanta da Dan a Bersabea sotto la minaccia  di nuove stragi, tornerà utile un ragguaglio organico dei moventi ideali che fanno da lievito alle endemiche insurrezioni degli autoctoni di Terrasanta contro gli inglesi a Gerusalemme.

 La Gran Bretagna è accusata, in linea preliminare, di non aver tenuto fede alle promesse fatte, durante la guerra, a Hussein, Sceriffo della Mecca, per guadagnarsi l’alleanza delle province arabe dell’Impero ottomano. 

Invece della sospirata autonomia fu regalata alla Palestina la dichiarazione di BaJfour, che autorizza gli ebrei a riprendere dalla Diaspora la via del ritorno verso le montagne di Giuda per tentarvi la creazione della loro Sede nazionale.

 I patrioti di Gerusalemme non cessano dal reclamare, l’adempimento dei patti firmati col vecchio capo Hascemita e continuano a protestare contro l’immigrazione sionista che ai loro occhi appare come il più grave flagello che incomba sul destino del loro popolo.

 Furon tentate tutte le vie: memorandi a Londra e a Ginevra, missioni politiche in Europa e in America, comizi e scioperi, giornali e opuscoli di propaganda. Tutto fu inutile.

Visto che ogni loro protesta restava sempre lettera morta, gli arabi palestinesi ritennero che l’unica via di scampo fosse oramai l’insurrezione contro la potenza mandataria. Ne seguirono cosi i moti di sangue dell’ottobre scorso.

 Nelle loro rivendicazioni, i capi degli indigeni si irrigidiscono su due punti fondamentali: la sospensione dell’immigrazione ebraica e la creazione di un Parlamento, con rappresentanza proporzionale delle varie comunità del paese.

Quanto al primo postulato è già stato dato, in questi ultimi mesi, almeno in maniera transitoria, una certa soddisfazione.

 Circa la seconda richiesta, invece, si arriverà tutt’al più a mettere sulla carta i preliminari di un’Assemblea legislativa, lasciando però aperta una porta alla Potenza mandataria per eventuali scappatoie il giorno in cui le esigenze degli autoctoni dovessero apparire eccessive sul terreno concreto della realtà.

 Volendo assorgere dalla cronaca alla genesi del disagio che funesta a intermittenza la vita pubblica della Palestina, si è costretti a riproporsi la angosciosa questione del Risorgimento d’Israele in Terrasanta.

 La dichiarazione di Balfour, che costituisce la vera Magna Charta del Sionismo politico del dopoguerra, implica la convivenza di due popoli sul medesimo suolo. Ora i primi tre lustri di questo esperimento non sembrano essere riusciti ancora a introdurre una atmosfera di pace tra i due coinquilini. Ciò spiega le divergenze di giudizio sull’avvenire della Palestina, che perdurano anche tra gli osservatori più spassionati.

 Chi ne va di mezzo nell’opinione pubblica è l’Inghilterra che fino a ieri era fatta bersaglio a palle di fuoco da parte degli arabi, mentre oggi, avendo permesso le ultime dimostrazioni degli indigeni, è aspramente presa a partito dalla stampa ebraica.

Ma l’Inghilterra che ama, per conto suo, la politica del divide et impera e che in Terrasanta si destreggia sempre dando un colpo ora al cerchio e ora alla botte, non si impressionerà gran che nemmeno davanti a questa nuova levata di scudi degli ebrei e continuerà imperterrita la sua strada, preoccupata soltanto dei suoi interessi imperiali, senza lasciarsi commuovere dagli inevitabili alti e bassi dell’aura popolare, e senza curarsi se gli osanna, piuttosto rari, o i crucifige, molto più frequenti vengono dagli arabi oppure dagli ebrei.

Capisaldi del binazionalismo

Il Falastin di Giaffa, occupandosi della questione in un lungo articolo redazionale, non esita ad affermare che durante l’ultima sua visita a Gerusalemme il Ministro britannico per le Colonie avrebbe discusso il problema col Governo locale in base ai seguenti punti fondamentali: 1) La Palestina verrebbe divisa in due regioni autonome, delle quali una sarebbe esclusivamente araba e l’altra soltanto ebraica. Le città sacre di gerusalemme, di Betlemme, di Nazaret o di Hebro, per riguardo al loro carattere religioso, non sarebbero comprese in nessuno dei due preventivati distretti. Caifa fungerebbe nella medesima maniera da porto nazionale per entrambe le provincie. 2) Ogni regione avrebbe un governo proprio, indipendente che sarebbe soltanto arabo o soltanto ebraico, a stregua della sua popolazione. 3) Un funzionario inglese servirebbe come ufficiale di collegamento tra le due provincie e svolgerebbe una azione da mediatore tra le due razze semitiche 4) I due parlamenti regionali nominerebbero un Comitato Esecutivo incaricato di occuparsi delle questioni generali che riguardano tutto il paese. 5) In caso di divergenza tra i poteri dei due distretti e qualora l’intervento del rappresentante britannico riuscisse inefficace. si farebbe ricorso all’arbitrato del Re d’Inghilterra o a quello della Società delle Nazioni. 6) La regione araba, a cui sarebbe annessa anche la Transsgiordania, verrebbe denominata «Siria meridionale», mentre quella ebraica prenderebbe il nome di «Erez Israel».

Quantunque due organi minori, come il Moraat Alshark o il Dror, si facciano eco delle due opposte sponde semitiche, affermando che questo piano di federalismo è la migliore soluzione possibile per risolvere l’ingarbugliato problema politico della Palestina, tutti gli altri giornali, invece, sia arabi che ebrei, prendono apertamente posizione contro il progetto in questione. I primi, perché la sua accettazione significherebbe «il riconoscimento implicito del Mandato e della sede Nazionale Ebraica, che essi hanno sempre combattuto in quindici anni di lotta»; i secondi, perché esso implicherebbe «una limitazione allo sviluppo del movimento sionista in Palestina».

Questo sogno del binazionalismo in Terrasanta era già stato caldeggiato, alcuni anni or sono, da un gruppo di Israeliti di Gerusalemme, i quali insistevano sull’esempio della Confederazione Elvetica dove le varie stirpi hanno, nelle questioni di stato, una completa eguaglianza senza alcun riguardo a criteri di maggioranza o di minoranza numerica e dove anche le diverse lingue nazionali sono poste tutte sul medesimo piede, senza differenze di trattamento.

Il giudizio degli autoctoni però su questo problema è ancora quello descritto, alcuni anni fa, dal Falastin. Ai loro sguardi il binazionalismo appare come una utopia. È un miraggio capace di sedurre idealisti in buona fede, ma posto a contatto con il termine di paragone della realtà, sembra ancora destinato a frantumarsi contro un sogno dai colori d’ordo, che dilegua quando si aprono gli occhi alla luce del giorno.

M.

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